Tra i dieci finalisti al Premio Passaggi 2015
Prospettiva e prossemica.
Vado. Mi allontano dalla staticità. Dal verde che ho intorno.
Ho le traveggole, ma so che andranno via quando mi metterò in viaggio.
Non mi volto a guardare il verde che ho dietro, no. I miei occhi si riempiono di aridità. Di asciuttezza. Che danno da bere al mio equilibrio.
Dopo poche ore di cammino per strade impervie e secondarie decido di fermarmi.
Ho solo sassi intorno. E sento una strana sensazione. L’anticipazione. Quello che deve ancora accadere si appressa a venirmi incontro. Conosco persone e suoni che per combinazione non incontrerò più durante il viaggio. Ma che avrei dovuto incrociare, se non avessi deciso di cambiare tragitto.
Sento la magia del paesaggio lunare già da ottanta chilometri prima. Che stranezza. Lì in fondo succedono cose alla mente, ragioni che il corpo non conosce.
Il tempo mi passa attraverso le dita. Non riesco a toccarlo con i polpastrelli, ma lo sento che si appiccica lieve tra le falangi. Si sbriciola come l’argilla dei calanchi quando ti appoggi un attimo per toglierti i capelli dal viso. E le mani si colorano di polvere beige.
Aliano. Luogo senza rumore.
Dovrebbero rammentare di entrare scalzi al paese. E di spegnere il telefono. Di parlare a voce bassa o di non parlare proprio.
L’ossigeno è carico di sabbia, ma c’è vita. Il vento attraversa le dune dei calanchi e arriva all’orecchio leggero. Ha un suono cinematografico.
Anche i mari della luna vanno laggiù a prendere la polvere di argilla per comporsi.
Percorrere la strada fino ad Aliano è un gesto etico. Girare nelle terre deserte tra pruni e paesi fantasma, peperoni rossi e vicoli arabi, con la paura di restare senza carburante, fa bene all’anima.
D’un tratto, ho una nuova sensazione. Lo smarrimento. Il corpo si abitua a non avere distanze da altri corpi e altri oggetti. C’è solo lui, impera nello spazio.
Mi allontano. E riesco in poche ore a raggiungere un’altra aridità. Più viva. Più commestibile. Mi passano immagini bianche ai lati, d’argilla illuminata dal sole di mezzogiorno; e si dissolvono per dare posto alle tonalità di verde. Fino a infittirsi nel marrone dei tronchi. Per poi arrivare al giallo. Il giallo ocra del grano mietuto.
Irpinia d’oriente. Crocevia tra Sud e profondo Sud.
La mia tappa è al paese di frontiera. Percorro dei curvoni interminabili per arrivarci.
È un modo così strano quello dei paesi di restarsene arroccati nel proprio snobismo. Sarà forse un sistema studiato per filtrare le contaminazioni che arrivano dal mondo fuori. O fuori dal mondo.
Le tinte delle case e dei tetti mi mettono di buon umore. Sono talmente strette le abitazioni che neanche il vento si può infilare.
Mi fermo. I miei compagni di viaggio sono cambiati. Quelli dei calanchi li ho salutati molto prima del crocevia.
Mi metto in cammino nei paesi del confine, tra i sentieri dei muli e dei miti. Nei paesi del vento forte, non più cinematografico.
C’è un vento qui, che corre come un cavallo selvaggio. A cui però hanno frenato l’istinto. È il vento del Formicoso, che si imbriglia nelle girandole dell’eolico.
Grano, suoni d’altri tempi, cannazze e vrasciòle. Un cantastorie mitologico ulula la sua terra alla luna.
Ho percorso anche di notte strade che si interrompono a un certo punto, senza preavviso e senza luce. Quando poi ho ripreso il viaggio, ho avuto come l’impressione che la parte di me che cercavo doveva restare in quella staticità. E là l’ho lasciata. Dove il tempo contempla la lentezza.
Con questo reportage finisco tra i dieci finalisti del Premio Passaggi 2015, la cui giuria tecnica è presieduta da Antonio Politano.
(in foto: Cairano, un paese dell’alta Irpinia, ai confini tra Campania e Basilicata – il testo è un reportage di viaggio).