In Perù e in Bolivia – e in qualche altro stato sudamericano – circolano come una spezia. Si trovano nei mercati, lungo le strade. Si vendono nelle drogherie naturali. Nei bar, nei pub, nei ristoranti. Sono energizzanti come il caffè, e hanno la proprietà del broncodilatatore.
Un viaggio sulle Ande significa rifornirsi, tra l’altro, di foglie di coca, indispensabili per affrontare l’alta quota.
L’abitudine di masticare coca, che si chiama ‘pijchar’ o ‘coquear’, è molto frequente sull’altipiano, quella striscia di terra tra la Cordigliera Orientale, che confina con l’Amazzonia, e la Cordigliera Occidentale che si estende fino all’Oceano Pacifico.
Tutti la masticano, indigeni e turisti. Nelle città viene consumata come infuso, vengono prodotti anche la birra alle foglie di coca e il liquore.
Dal Laboratorio Icori di Juan Hurtado nascono le praline Ajayo, foglioline compresse e lavorate con cannella e zucchero di canna. La officina alimentare è a La Paz da quindici anni, quando lo psichiatra Hurtado e la sociologa Sdenka Silva, la moglie, si riuniscono con una squadra di ricercatori europei e boliviani per conoscere i benefici della pianta e danno alla luce il laboratorio.
Le foglie sono un cicatrizzante naturale, combattono il reflusso gastroesofageo e alleviano il senso di nausea. La Icori realizza anche unguenti e creme per uso esterno.
L’impiego della pianta viene da lontano, quando non era di uso comune. Il popolo Inca era l’unico consumatore. Veniva utilizzata nei riti e nelle cerimonie. In seguito, la sua coltivazione si diffonde nella città di Potosì dove vi era – vi è! – la miniera di argento più grande del mondo, che muoveva l’economia dello stato boliviano. Veniva data ai minatori per alleviargli il senso di fame e di sete.
A La Paz esiste il Museo della Coca che documenta la storia di questo alimento, il suo valore sano, diversificandolo dal derivato illegale, la cocaina. E racconta come le foglie siano diventate l’elemento per la fabbricazione della Coca cola.
Dal mese di agosto 2018, La Paz è investiva dalla rivolta dei cocalero: i contadini che coltivano coca si oppongono al governo in carica. Evo Morales, primo presidente indigeno boliviano, ex coltivatore di coca ha imposto dei provvedimenti governativi sulle coltivazioni illegali, vale a dire sulle quantità coltivate nella zona rossa, oltre i limiti previsti dalla legge, ma ha dichiarato la pianta patrimonio culturale boliviano senza alcuna intenzione di eliminarla dall’economia, mettendosi contro gli Stati Uniti, che dichiarano la Bolivia uno degli stati del Sud garantisti del narcotraffico.