Osservo il bosco incantato da qualche anno, precisamente da quattro. E mi rendo conto di quanto sia morfologicamente cambiato.
La cipresseta di Fontegreca si trova nella coda del Massiccio del Matese che va verso Nord, in direzione del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, e che affaccia sul Volturno.
Siamo nel Parco Nazionale del Matese, in Campania, provincia di Caserta. Italia del Sud.
Erroneamente è chiamata “bosco degli zappini”. Sap(p)inus, dal latino varietà di pino. Sapin, dal francese abete. La parola zappino, quindi, non è tanto riferita al cipresso, quanto al territorio nominato così dai pastori matesini che negli anni hanno ufficializzato il toponimo.
La cipresseta fu piantata da monaci eremiti tra il V e il VII secolo; e oggi è qui, davanti a me, a bucare le nuvole e il vento, e fermare il cielo limpido del Matese.
L’arrivo dei barbari moderni la lascia dolorante, ne vedo i segni su alcuni tronchi e rami che non appaiono rigogliosi alla luce del sole. Ma affaticati. E tutto ciò mi rattrista mentre cammino.
Il bosco incantato è, adesso, un’area pic nic, gestita dal Comune di Fontegreca, che cura il luogo. Ma mi chiedo se è giusto, in un paese di ottocento abitanti, che ha il privilegio della posizione geografica e la piaga dell’emigrazione, creare lavoro aprendo le porte agli Attila che arrivano con le macchine il fine settimana fin sopra la cipresseta, attraversando acrobaticamente le viuzze del borgo, e imbrattando le cascate del fiume Sava e le piscine naturali in cui ci si può tuffare e specchiare in pace. Quanti anni resteranno alla cipresseta se continuerà, suo malgrado, ad accogliere disumani?
La donna dell’unica osteria del borgo dice: «Se devono venire e lasciare immondizia dappertutto, è meglio se ritorniamo a quando eravamo solo noi a Fontegreca».
Andateci solo se siete coscienti che il bosco è un luogo sacro!